Il Kaos secondo Paola Apuzza
Kaos antitesi del silenzio?
In principio era il kaos, avrebbero detto gli antichi greci, la condizione primordiale dell’universo, con lo spazio indefinito, vuoto, come una tela bianca o un blocco di pietra da scolpire, materia grezza sulla quale simulare la realtà. Uno spazio illimitato che viveva la dimensione del silenzio cosmico, la voce atona del kaos.
L’homo sapiens ha sempre avuto l’esigenza di stabilire ordine nel kaos, di regolamentarlo con leggi, di asservirlo alle regole, di adattarlo alle necessità.
L’artista ha sempre ricercato nel caos nuovi spazi creativi, oltrepassando le leggi e le regole ha inseguito la libertà di espressione rifuggendo le gabbie imposte dal conformismo.
Ma cosa rappresenta il kaos per l’artista contemporaneo e cosa il silenzio? Sono veramente in antitesi o sono solo due dimensioni, due livelli emozionali che interagiscono e si sovrappongono nell’estro creativo?
La mostra “Kaos antitesi del silenzio” ha posto l’attenzione su questi due aspetti del sentire dell’artista, il kaos della materia vergine sulla quale creare l’immagine e, nel contempo, la muta eloquenza dell’elemento che contiene già in nuce la creazione artistica. La materia contiene già in sé l’immagine, potremmo dire parafrasando Michelangelo, ma anche che è la materia stessa ad essere opera d’arte, come dimostrano le installazioni di Peppe Ferraro e Maria Luna Storti.
Le opere in esposizione hanno poi evidenziato anche l’altra lettura del termine kaos, ovvero la connotazione moderna di disordine, di confusione, di mancanza di regole, che ritroviamo soprattutto nei dipinti. Lo potremmo comunque definire un apparente kaos quello che emerge dalla sapiente commistione di colori, linee, punti, forme e materia, visto che, a ben guardare, dando precedenza all’approccio emozionale, come suggerisce Fabrizio Scomparin, si ritrova il filo di Arianna per comprendere le intime motivazioni del kaos. Ed è questa la chiave di lettura delle opere in mostra.
Ma l’arte in mostra è anche imago silentium, poesia silenziosa che parla senza parole, direttamente al cuore degli spettatori. Si devono al riguardo doverosamente citare le fotografie in bianco e nero di Giovanni Izzo, immagini mute, come le donne in burka che raccontano, più di mille parole o mille sfumature di colore, la condizione femminile di alcuni paesi di religione musulmana. E poi la desolata silenziosa tristezza delle immagini delle prostitute della Domiziana che Izzo accarezza con rispetto con l’obiettivo.
Il Dio dei cristiani si annuncia nel silenzio delle chiese deserte delle foto di Bruno Cristillo, un silenzio che non parla di raccoglimento e preghiera ma di solitudine e dolore. Così come l’installazione raffigurante la croce, ricoperta da fotografie di Cristo crocifisso, è la muta eloquenza della sofferenza del Dio fatto uomo in un caos di sentimenti terreni vissuti nel silenzio della morte.
Affascinante, poi, il Kaos geometricamente ordinato in triangoli ripiegati e colorati di Anna Pozzuoli. L’artista usa una materia fredda, una lega metallica leggera, per esprimere il silenzio in una dimensione spaziale tridimensionale, dove le componenti piramidali, a stento trattenute, sembrano prorompere per riappropriarsi del kaos creativo.
I dipinti di Alessandro Del Gaudio potrebbero ben rappresentare il kaos primordiale con il loro rincorrersi senza sosta di forme, figure e colori, disposti in una disordinata logica. Aerei, macchine, automi, animali, viaggiano in un mondo fantasioso ed onirico, in direzioni diverse ma seguendo rotte segnalate trasmettendo l’esprit vital, l’idea del viaggio come scoperta e come piacere, l’ebbrezza della velocità, l’infinita, immensa estensione dell’universo. Il silenzio lo ritrovo negli sfondi evanescenti o pietrosi, congelati nelle loro infinite sfumature, immobili nelle loro forme geometriche, in dialettica contrapposizione all’idea di movimento suggerita dalle figure.