La chiusura della mostra W.OW. occasione di un confronto culturale sul tema della Pace a cura dell’Architetto Mariano Lebro
Si è appena conclusa presso la galleria “Area 35mm” (spazio espositivo e factory di “Kaos 48”) la mostra fotografica “W.O.W.”, ossia “Windows on Wars”.
L’esposizione è stata curata da Fabrizio Scomparin e Stefano Nasti per il Pompei Street Festival nel Settembre 2022. Una rassegna di immagini “nude e crude” sulle guerre che devastano il globo.
Ad oggi sono ben 62. 62 motivi che da soli basterebbero per perdere la fiducia nell’umanità. Questo è l’orrore visto e raccontato da 15 fotografi di nazionalità diverse: Rasmus Flindt Pedersen (Danimarca), Ali Haj Suleiman (Siria), Maxim Donyuk (Ucraina), Samson Otieno (Kenia) Rodwy Cazon (Bolivia-Cile), Eduardo Soteras Jalil (Argentina), Daniel Carde (Stati Uniti d’America), Andrea Campeanu (Romania), Anne Paq (Palestina), Ebadurahman Reshtin (Afganistan) , Momin Faiz (Palestina), Fabio Polese (Italia), Costantino Liberov, (Ucraina), Atif Aryan (Afganistan), Rahmat Alizadah (Afganistan).
La mostra ha già raccolto grandi consensi e dovrebbe essere riproposta in altro luogo. Dunque un grande successo. Ma le opere non possono essere solo belle o spettacolari, per essere arte devono essere anche educative. Devono proporci una lettura diversa, obiettiva che ci permetta di crescere.
Cosa ci lascia “W.O.W.”? Una piccola ma essenziale verità: la convinzione che tutte le guerre sono uguali ma che alcune godono di una visibilità mediatica, altre no. Ci mostra che il campo di battaglia ospita guerre di “serie” A, B, C… Z. La fotografia ha però un grande dono, ci svela la verità senza mediazioni, senza compromessi, senza pietà. Ci dimostra che uno scatto fotografico, indipendentemente da dove sia stato realizzato, racconta sempre la stessa cosa: la verità. I morti, il dolore, la distruzione, la disperazione, la sofferenza sono sempre uguali. Tutte le madri sono nostra madre e tutti i figli sono nostri figli. La guerra è sempre inutile a prescindere dal luogo dove è combattuta.
La guerra è sempre una sconfitta. Non ha importanza quale sia il conflitto ripreso, lo scatto fotografico ha il pregio di custodire e contenere in valore assoluto una denuncia, semplicemente enunciando la realtà e mostrandola nei tanti effetti nefasti che la scelleratezza umana produce solo per questioni espansionistiche, politiche ed economiche. Con questo non si vuole affermare che aggredito e aggressore siano uguali, ma che ogni sforzo deve essere fatto per non arrivare allo scontro.
La guerra è persa quando è combattuta. Una contraddizione in termini? Non credo. In questi giorni si sentono discorsi aberranti, da “osteria del pallone” e davvero sembra di essere tornati all’età della clava. Di colpo millenni di civiltà, di crescita civile sofferta e metabolizzata sono scomparsi mostrando un’umanità viziata ed egoista.
Unica attualizzazione di discorsi triti e ritriti, l’elevazione di questa antica “tradizione” umana attraverso la sua spettacolarizzazione: la guerra è oggi uno show televisivo e mediatico ben condotto e orchestrato sulla “rete globale”. Oggi entra in ogni evento televisivo parzializzando i conflitti e ponendoli con “garbo” nel salotto “buono” della società civile. La guerra “a pezzetti” è proposta nel moderno ed asettico nuovo anfiteatro. Sì perché oggi i media digitali sono il nuovo “Colosseo”, un’arena globale senza regole in cui sacrificare le vittime in totale assenza di elementi materici e concreti quali il sangue, le macerie, gli odori nauseanti delle vittime in putrefazione…
Dopo la seconda guerra mondiale i popoli erano giunti a gridare: mai più! Dove sono queste idee “rivoluzionarie” e le relative promesse? Principii in vario modo —ed aggiungerei inutilmente— dichiarati e scritti nelle Costituzioni di molti Paesi. Alla luce dei fatti credo sia lecito chiedersi dove sia finito in questi freddi giorni lo spirito di fratellanza e amicizia tra i Popoli tanto sbandierato? Forse nei pub, nelle osterie sorseggiando una birra al caldo, ben protetti da “generale inverno” e dimenticando che la guerra è una cosa seria. Troppo seria… In pochi parlano convintamente di pace, ancora meno vi credono e quasi nessuno opera per raggiungerla… La pace vuole impegno costante, sacrificio, intelligenza. La Pace sa però ricompensare. Chi si adopera oggi per trovare efficaci soluzioni diplomatiche? Chi grida fratellanza è ignorato e, talvolta, deriso nei fatti.
La Pace vuole un’azione globale. Se diamo per vero quanto riportato sulle principali testate giornalistiche, a cercare una soluzione diplomatica oggi sembrerebbe vi sia da un lato Papa Francesco, che a dirla tutta non so cosa possa fare e quanto faccia realmente, e il premier turco Recep Tayyip Erdoğan che però non gode di simpatie da parte dell’occidente perché il suo governo non è considerato democratico. L’assenza di più interlocutori produce rassegnazione, apatia e, peggior cosa, isolamento. Occorre presenza e condivisione. L’effetto è già sotto gli occhi di tutti: una società palesemente drogata, immersa nell’opportunismo e nell’egoismo. C’è chi crede ancora che le guerre debbano essere combattute fino allo spasimo e che si debba “vincere” prevaricando sugli altri. Io invece mi chiedo cosa sia la vittoria e se la sua ricompensa valga le violenze subite. Io vedo solo dolore e credo che ogni vittima sia più vite spezzate. La guerra per “procura” avvelena gli animi e condiziona il modo di leggere i fatti. Figlia primogenita di una cultura costruita con la violenza on-line dei videogiochi mistificando una realtà definita come ludica e “virtuale”. Forse dapprima occorre ripudiare già questa definizione poiché nasconde il vero significato e falsa una visione obiettiva. Se già le definizioni della realtà fossero più oneste e meno manipolative, si farebbe un grande passo in avanti in termini di civiltà. Definire il frutto di artifici apparentemente raffinati, di certo tecnologici, come “realtà virtuale” altro non è che nascondere quanto è potenzialmente ingannevole.
Non sarebbe più opportuno parlare di “realtà ingannevole”? Forse non suona bene quanto “realtà virtuale” e disorienterebbe alcuni e, magari qualcuno storcerebbe il naso. Di sicuro però corrisponderebbe meglio alla “realtà” in valore assoluto. Temete pure, gli orrori non hanno limiti ed in un futuro che già bussa alla porta, potremmo trovarci ad accettare verità insostenibili, con la pretesa di evitare ai nostri figli i campi di battaglia.
Provate ad immaginare guerre che si combattono con “tecnici” senza tuta mimetica ma in un candido camice bianco. Magari li potremo definire semplicemente, ma non innocuamente come “abilitati alla risoluzione bellica digitale”. Non è sufficiente? Pensate allora a ragazzini che ingenuamente credono di combattere in uno scenario irreale, magari dal comodo salotto di casa, alla guida di eserciti di androidi e droni al proprio comando. Un delirio di onnipotenza giocato sulla pelle degli altri. Fantascienza? Forse… lo spero. Dipende da noi.
Dopo circa 80 anni dalla fine del più devastante conflitto bellico a cui il nostro Paese ha partecipato con folle determinazione, mi chiedo ancora “Se questo è un uomo” e come sia possibile che alcune domande possano essere ancora attuali. Se troppo poco si fa nel presente, a maggior ragione non bisogna demordere. Confidare nella ragione ma anche nell’apparente irragionevole, ossia nell’irresistibile amore per il prossimo, è dimostrazione di maturità civile e crescita culturale. Senza questi orizzonti saremmo disperati e persi. Inaspettatamente tutto questo sembra affermare “che nessuno deve perdere fiducia nella capacità di comprensione dell’umanità”. Non si lasci spazio “… al potere del nulla…” perché, aggiungo forse banalmente, se il “nulla” avanza, lo fa con la distruzione materiale ed immateriale. Questa è l’unica battaglia che va combattuta, in modo incruento, ma con assoluta determinazione.
Dobbiamo essere convinti della necessità di un impegno civico collettivo, autenticamente democratico e proteso ad acquisire sempre di più il consenso di intellettuali, politici, movimenti culturali ed ogni espressione della società civile. Realtà capaci di metabolizzare e proporre una innovativa idea di Pace. Aspettando che questo trovi compimento, possiamo sperare in quelle associazioni umanitarie che seppure sono tenute nell’angolo, nel perimetro di specifici cliché, almeno dichiarino apertamente da che parte sono schierate. Tutti sembrano essere in attesa di eventi che possano rimescolare le acque per trarne nuove energie. Mai come adesso è la cittadinanza attiva a doversi caricare di responsabilità ed inventarsi ogni forma di resistenza civile alla cultura della violenza, da ovunque essa provenga: la guerra non è un’opzione possibile.